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I Salumi dell’Italia meridionale

La produzione salumiera italiana è frammentata in una gran varietà di prodotti a carattere territoriale, al di fuori di un quadro unitario, e per questo si tende a considerare una salumeria regionale. La tipologia dei salumi è spesso legata alle tradizioni che risalgono ai popoli che hanno abitato la penisola in epoca pre-romana. Nell’area greca dell’Italia meridionale della Campania, Basilicata (Lucania), Calabria, Puglia, Sicilia vi sono salumi con uso di spezie esotiche e nostrane. Nell’area fenicia-punica della Sardegna invece prevalgono salumi di piccola pezzatura.

In Campania ad esempio abbiamo la salsiccia rossa di Castelpoto. Castelpoto è un suggestivo borgo ai piedi del Monte Taburno, a pochi chilometri da Benevento. Qui il maiale si sposa con il peperone, dando vita a uno dei più interessanti esempi di arte norcina campana. Tra novembre e marzo le parti magre di spalla, prosciutto, filetto e coppa vengono macinate assieme a lardo e pancetta, quindi conciate con sale, pepe, finocchietto selvatico e una speciale polvere di peperone, sia dolce che piccante, prodotta secondo un’antica tecnica locale. Per non renderlo troppo asciutto, all’impasto viene aggiunto un infuso ottenuto da teste d’aglio, tagliate a metà e lasciate in acqua per circa 24 ore. Insaccate a mano in budello naturale, le salsicce stagionano in locali arieggiati per un periodo che, in base alle dimensioni, varia tra i 30 giorni e i due mesi, durante i quali il norcino, ogni due settimane, schiaccia le salsicce con un mattarello in legno per eliminare eventuali bolle d’aria.

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Fonte: www.lucianopignataro.it

Vescica. Tipica della Basilicata, questa antica specialità testimonia l’ancestrale usanza di conservare sotto strutto i salumi all’interno di vesciche prima ancora che in vasi di terracotta. Pezzi di salsiccia e sopressata locali vengono immersi nello strutto liquido molto caldo per alcuni minuti, quindi mescolati ad altro strutto e inseriti nella vescica, precedentemente sterilizzata ed essicata, fino a riempirla completamente. Legata a mano, la vescica viene immersa in acqua fredda con sale grosso per circa sei ore, quindi viene sciaquata e asciugata: può essere consumata subito o stagionata per alcuni mesi.

[cml_media_alt id='213']Fonte: www.vivereinbasilicata.it[/cml_media_alt]

Fonte: www.vivereinbasilicata.it

Il Capocollo di Martina Franca è un imperdibile salume pugliese. Martina Franca è patria di un particolare capocollo, apprezzato in tutto il Regno di Napoli già nel XVIII secolo, ancora oggi ottenuto dalla coppa (la parte tra collo e costata) di maiali locali allevati allo stato semi brado. Macerati sotto sale, pepe e aromi locali per circa 20 giorni, i capocolli vengono marinati in vino cotto e spezie, quindi insaccati in budello gentile di maiale. Asciugati in calze di cotone riposano in ambienti freschi, come i trulli, quindi vengono affumicati a freddo: il fumo delle essenze della macchia locale, timo, alloro e mortella miste a bucce di mandorla e corteccia di Fragno, viene filtrato attraverso l’acqua. Possono stagionare da un minimo di tre a un massimo di 6 mesi, ma sono eccellenti anche sott’olio.

[cml_media_alt id='214']Fonte: www.salumiantoniomartino.it[/cml_media_alt]

Fonte: www.salumiantoniomartino.it

‘Nduja di Spilinga. Questo piccante salume spalmabile è legato indissolubilmente alla Calabria. La ‘Nduja nei migliori casi viene ancora preparata artigianalmente utilizzando parti magre e grasse avanzate dalla lavorazione del maiale: oggi si utilizzano anche quelle più più nobili, come guanciale e pancetta, ma un tempo alle rifilature di coscia e spalla si aggiungevano solo testa, fegato e polmoni, quindi il tutto veniva rigorosamente battuto al coltello. Conciato con sale, pepe, semi di finocchio e una grande quantità di peperoncino in polvere (circa 250 g per 1 Kg di carne) l’impasto era amalgamato a mano su spianatoie in legno, quindi insaccato in budello cieco naturale. Leggermente affumicata, la ‘Nduja può stagionare oltre l’anno e si consuma su pane, pizze e bruschette o come condimento per la pastasciutta, cotta nel pomodoro.

[cml_media_alt id='215']Fonte: www.travelcalabria.net[/cml_media_alt]

Fonte: www.travelcalabria.net

Il Salame di Sant’Angelo di Brolo. In Sicilia l’arte norcina rinasce nell’XI secolo con i Normanni, dopo due secoli di interdizione al consumo di carne suina imposto dagli Arabi. Sant’Angelo in Brolo è uno dei più famosi e antichi centri di questa produzione, e dal XVI secolo vi si produce un salame profumato e dal sapore delicato che nasce dalle carni più pregiate dei maiali locali, allevati solo con ghiande, fave e crusca. Lombata, spalla, coscia, filetto, collo, lonza e coppa vengono tagliate a punta di coltello e mescolate al più grasso pancettone (20% circa), quindi conciate con sale marino e pepe a mezza grana. Insaccati in budello naturale di suino, i salami stagionano in locali areati fino a tre mesi, in base alla pezzatura, beneficiando dello splendido microclima di Sant’Angelo, sulle pendici dei Nebrodi.

[cml_media_alt id='216']Fonte: www.topofthedop.it[/cml_media_alt]

Fonte: www.topofthedop.it

 

Ortau di Atzara (Sardegna). Ad Atzara da secoli si produce S’Ortau, una particolare salsiccia che si può cucinare da fresca o consumare stagionata. La tradizione vuole che vengano sminuzzate a punta di coltello la milza, il cuore, i polmoni e altre parti poco pregiate dei maiali locali, mescolandole con altre più nobili come spalla o pancetta, quindi il composto venga conciato con sale, pepe nero, prezzemolo e pomodoro essicato. Insaccata in budello naturale di suino, precedentemente lavato con vino locale e aceto, la salsiccia può stagionare anche un anno.

[cml_media_alt id='217']Fonte: www.comune.atzare.nu.it[/cml_media_alt]

Fonte: www.comune.atzare.nu.it



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